Il blog non è più una prova

Quando nel 2008 iniziai questa avventura scrissi che lo stavo facendo per lavoro, per sperimentarne logica e funzionalità.

Oggi è luogo di relazione, memoria, scambio e conservazione di informazione, dove esprimere il mio punto di vista e ascoltare quello degli altri, moderno tazebao, ma sopratutto opportunità di conoscere cosa gli altri ‘veramente’ pensano poiché vedo come grave rischio contemporaneo, quello di pensare ciò che i mediatori televisivi di comunicazione ci dicono che pensiamo e ancor peggio di credere che quanto essi sostengono è veramente quanto pensiamo.

Il blog come alternativa al pensiero unico e autentico scambio, diretto e senza mediazione.








giovedì 28 gennaio 2010

Velo Islamico: chador, abaya, niqad, burka, haik, hijab

I dibattiti sul velo islamico si sprecano, in radio, tv, giornali in privato.

A mio modesto avviso stiamo sbagliando l'approccio.

Anni fa ho viaggiato in Turchia e a Istanbul ho visitato le belle moschee di quella città.
La regola per l'ingresso è con il capo coperto e a piedi scalzi, mi sono adeguata rispettosa e consapevole di essere un ospite, entrare in moschea non è dovuto, se fossi rimasta fuori non avrei dovuto ne coprirmi il capo ne togliermi i calzari.

Alcuni anni dopo sono andata in Israele e ho voluto andare al muro del pianto, la loro regola è di non indossare simboli di altre religioni, e mi sono dovuta togliere la piccola catena d'oro con la croce, anche in questa circostanza mi sono adeguata rispettosa e consapevole di essere un ospite, il muro del pianto è il loro tempio (quel che ne rimane), andarci non è dovuto, se fossi rimasta fuori non avrei dovuto togliere la piccola catena.

In Italia e ovunque nel mondo trovo altrettanto corretto che per l'ingresso nelle chiese di confessione Cristina, vengano stabilire delle regole.

Questo per quanto riguarda le religioni e i luoghi di culto.

Veniamo invece alla società civile, fuori dai luoghi di culto, in ogni paese, anche nel nostro ci sono regole scritte e non che normano l'abbigliamento e il comportamento in pubblico che tutti generalmente rispettiamo e dove la trasgressione ha dei limiti definiti appunto 'sociali' , se qualcuno si aggirasse per le nostre città seminudo o in biacheria intima o .... qualcunaltro chiamerebbe il pronto intervento. Laddove il comportamento sociale non è normato valgono le convenzioni, gli usi e costumi locali.

Da bambina ma anche da adolescente nel periodo di carnevale ero intimorita se non impaurita difronte alle persone mascherate.
Anche ora che sono una persona adulta le persone mascherate mi mettono a disagio se non paura per la samplice ragione che non posso vedere il volto della persona. Noi riconosciamo e identifichiamo l'altro dal volto. Qualcuno ha mai visto ricostruire l'identikit delle mani o delle gambe oppure del corpo di un malfattore?
Credo esista già una norma in Italia che regolamenta la materia, non si puo andare in giro a volto coperto.

E' qui che dobbiamo collocare il burka, nulla importa che sia un simbolo religioso, il problema reale è che è assimilabile ad un volto mascherato, coperto, la persone non è riconoscibile e quindi potrebbe compiere qualsiasi crimine e noi... beh dovremmo fare l'identikit delle mani e dei piedi.

Sono davvero stupita e forse anche un po stanca di sentire i discorsi intorno al burka, dove si assumono aspre ed inutili contrapposizioni politiche.

Non condivido la scelta dei francesi di vietare tutti i simboli religiosi, non lo ritengo espressione di una società civile, ritengo che oguno possa esporre i propri simboli religiosi, la norma civile da rispettare nello specifico è il volto scoperto, visibile e riconoscibile per tutti.

Se noi passiamo il principio del burka allora dobbiamo passare anche quello del volto mascherato con la calza, con la maschera, con.....Mi potrebbe anche star bene, ma siamo certi di volerlo ?

Non possiamo ammettere il burka e poi non ammettere altre forme che coprendo il volto non consentono l'dentificazione delle persone.

Marziana

1 commento:

Anonimo ha detto...

Esperienza di un emigrato. Sono venuto dalla Bosnia nel 1991.

Penso sia giusto che un emigrato che ha trovato ospitalità, ed è stato accolto in un altro paese si adegui alla cultura di questo paese imparandone la lingua, l’arte, le abitudini, per non sentirsi isolato e per non sentirsi diverso, non dimenticando chiaramente la propria cultura ed in questo paese nessuno te lo vieta, nessuno te lo proibisce e andare in giro con il burka, o con il cappello ebreo, o in abito da samurai, o con gonnellino scozzese o… non mi farebbe sentire un diverso, ma mi farebbe sentire semplicemente a disagio.

Un amico nello stesso periodo è migrato in Germania e per anni ha frequentato solo i bosniaci, ha mangiato cibo bosniaco, guadato via satellite la tv bosniaca, questo per me significa rimanere nel ghetto o in carcere perché la comunità è ciò che ti circonda e non ciò a cui non puoi più partecipare.

Se fossi andato in Marocco piuttosto che in Italia avrei indossato i loro abiti, mangiato il loro cibo.. perché sono adatti per il loro territorio e il loro clima, avrei imparato la loro lingua per interagire e integrami con la comunità locale.

La cosa più importante per me è non infastidire gli altri e non essere infastidito, civilmente convivere.

Renato